Pasta con grano italiano, obiettivo possibile?

27 Jul 2018

Pasta con grano italiano, obiettivo possibile?

Crescono i contratti di filiera promossi dalle imprese industriali, con cerealicoltori e molini, per favorire l’approvvigionamento della materia prima nazionale e ridurre l’importazione dall’estero. Con il coinvolgimento di università e aziende sementiere nella ricerca di varietà performanti (da Mark Up n. 271)

Ci sono paradossi. E quello sul grano è tra i più evidenti. L’Italia è il primo produttore di grano duro dell’Unione Europea, rappresenta il 10% della produzione globale ed è al primo posto anche nella classifica dell’export con 1,9 milioni di tonnellate, ma non è autosufficiente. Il fabbisogno per l’industria è di 5,6 milioni di tonnellate e il nostro Paese ne produce solo circa 4 milioni, in base alla media degli ultimi cinque anni (dati Italmopa) su una superficie coltivata di 1,28 milioni di ettari. Dunque importa: principalmente da Canada, Usa, Australia, Francia, Messico. Parallelamente ha il record di biodiversità, con circa 250 varietà iscritte nel Registro varietale. Eppure solo il 35% del grano italiano ha un contenuto proteico superiore al 13%. Mentre quello di un altro terzo circa è inferiore al 12%, dunque inadatto alla pastificazione, ricorda Aidepi.

Per fare una pasta italiana di qualità (l’unica al mondo prodotta con semola di grano duro, in base alla Legge di purezza 580/67), dicono le industrie, serve un livello proteico di circa un paio di punti percentuali oltre il valore stabilito dalla normativa (10,50%); oltre al rispetto di altri parametri: dall’indice del glutine per la proverbiale tenuta al dente, al colore. Data la situazione di partenza del prodotto domestico, ne deriva la necessità d’importazione dei migliori grani esteri, pagati circa il 15% in più di quelli nazionali.

Ma l’italianità è un plus: il consumatore chiede sempre più un prodotto made in Italy, oltre che green. Un decreto legge varato il 26 luglio 2017 ed entrato in vigore lo scorso febbraio ha imposto poi in via sperimentale la tracciabilità in etichetta sulla provenienza della semola di grano duro. Questi cambiamenti hanno accelerato la creazione di accordi di filiera sostenuti dalle imprese industriali, che hanno fatto da sprone al mondo agricolo. Coinvolgono cerealicoltori e molini, ma soprattutto si avvalgono della collaborazione di università e aziende sementiere nella ricerca di varietà domestiche performanti, in un modello che ruota attorno alla sostenibilità.

Alla ricerca di un grano nazionale competitivo in un quadro di sostenibilità sono nate nuove organizzazioni di filiera.

L’analisi che segue, portata avanti in collaborazione con Fresh Point Magazine, si occupa delle principali iniziative in corso in questa direzione.

De Matteis Agroalimentare, nata nel 1993 a Flumeri, in provincia di Avellino, è uno dei più importanti player nel mercato mondiale della pasta secca di qualità. Merito delle due famiglie fondatrici, De Matteis e Grillo. Esporta in 43 Paesi del mondo per un fatturato (2017) di 106 milioni di euro, realizzato per il 70% all’estero. La filiera Armando (prende il nome dal presidente, Cavaliere Armando De Matteis) è tra le più importanti del grano duro made in Italy. Coinvolge 1.836 aziende agricole e 45 stoccatori sparsi in 21 province di 9 regioni italiane per una superficie coltivata dedicata di oltre 24.000 ettari. È tra le poche aziende del settore ad avere il molino di proprietà, collegato direttamente al pastificio, con una capacità produttiva annua di 130.000 tonnellate. Secondo il patto l’agricoltore si impegna a seminare le varietà di grano duro concordate con il pastificio De Matteis e a coltivarle nel rispetto di un disciplinare finalizzato al raggiungimento di un elevato contenuto proteico. In cambio l’azienda si impegna a fornire l’assistenza in campo di agronomi dedicati e ad acquistare il raccolto a un prezzo minimo garantito. “Il progetto è nato in maniera pionieristica otto anni fa con circa 100 agricoltori -spiega l’amministratore delegato Marco De Matteis-. Rispetto al 12,5% proteico di media, noi abbiamo una soglia di ingresso del 14,5% di proteine e raggiungiamo punte del 16% con una certa frequenza. È una filiera diretta, senza intermediazione”.


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